Ad un paesaggio caratterizzato da vaste zone pianeggianti si legano i saperi e le pratiche della cultura agraria: un insieme di tecniche e conoscenze relative alla cura della terra, scandite dall’andamento delle stagioni. E non è un caso se al calendario civile e a quello liturgico, si affiancasse anche un calendario agricolo ovvero una scansione del tempo basata sul ciclo delle stagioni. La concezione del tempo nelle campagne, era fortemente legata ai cicli della natura: la sveglia era data dal sorgere del sole, la pausa per il pranzo dal raggiungimento del sole al punto più alto del cielo (mezzogiorno), mentre il tramonto segnava la fine del lavoro nei campi. È curioso come, già a partire dalla seconda metà del Settecento, iniziano a diffondersi vere e proprie pubblicazioni (nel parmense era famoso il lunario piacentino) chiamate almanacchi: edizioni ad uso dei lavoratori delle campagne, con indicazioni relative alle fasi lunari, alle previsioni del tempo, alla scansione dei lavori in campagna a seconda delle diverse stagioni, ai proverbi e ai consigli utili per la cura della terra. E proprio alle fasi lunari, i contadini guardavano quale a un vero e proprio orologio della natura. Alla luna, definita la ‘grande levatrice’ per il suo potere di favorire le nascite, se in fase crescente, si è da sempre attribuita la proprietà di favorire lo sviluppo delle piante mentre a quella calante l’effetto opposto. Le fasi lunari rappresentano da sempre il riferimento principale per la programmazione dei lavori agricoli: semina, messa a dimora, innesti, potatura, raccolta, vinificazione, taglio della legna, allevamento, ecc… Oggi ai saperi prettamente legati alle necessità della sussistenza, è subentrato un tipo di agricoltura che si pone come obiettivo l’interesse generale dei cittadini in termini di sicurezza alimentare, gusto, tutela ambientale, rispetto del paesaggio, cultura e tradizione. Per quanto riguarda il sistema di produzione dell’agroalimentare legato al Parmigiano-Reggiano, prodotto tipico della bassa parmense e anche del colornese, Ilenia Rosi spiega che Il sistema è caratterizzato da una stretta interdipendenza fra attività agricole, allevamenti zootecnici e trasformazione casearia, secondo una tradizione ed un insieme di saperi quasi millenari. La presenza nella Bassa Parmense di colture in rotazione necessarie per l’allevamento bovino, ha dato vita ad un sistema fortemente integrato nelle sue diverse componenti, che oltre ad essere finalizzato alla realizzazione di prodotti di qualità, ha da sempre rappresentato una garanzia di sicurezza per l’ambiente. Il sistema prevede, infatti, la presenza di colture di foraggi di tipo prativo alternato a colture cerealicole, funzionali all’alimentazione dei bovini da latte e pertanto allo sviluppo di allevamenti bovini. La produzione di latte, ha quindi favorito lo sviluppo di aziende casearie nei pressi delle stalle, le quali a loro volta producono siero (un sottoprodotto del latte, considerato di scarto) prezioso per l’alimentazione dei suini, i quali a loro volta risultano preziosi per la produzione di reflui impiegati quali fertilizzanti naturali per la concimazione dei campi. Pensare che la tipicità di un prodotto dipenda semplicemente dalle tecnologie di lavorazione, è davvero riduttivo dice Ilenia Rosi Perché è del tutto logico affermare che parlare di un sistema di produzione del Parmigiano-Reggiano, significa tenere conto del rispetto dell’ambiente grazie alla presenza di culture prative, elevate diversità biologiche, reflui facilmente riciclabili; della tutela del paesaggio, grazie alle diversità colturali e magari anche grazie al recupero degli antichi fabbricati rurali. Il tutto finalizzato alla produzione di prodotti d’eccellenza, nel rispetto rigoroso della tradizione. L’agricoltura non deve essere solo buona, deve essere anche bella, ma costa tanta fatica commenta Pierino Rosi.