“Va! Bionda, tira!” Nei campi non si sentiva “la macchina” ma dominava la voce dell’uomo. Un dialogo a tre, uomo-animale-terra. Il lavoro presidiava il tempo e lo spazio della vita contadina. Il tempo del lavoro contadino s’innesta nella rete magica del tempo ciclico annuale, con l’osservazione del cielo e dei suoi astri, in primis la luna, scrutando gli indizi per la buona riuscita e le difficoltà dei lavori. I proverbi a sfondo meteorologico ne sono una testimonianza tuttora viva e non solo nelle campagne. Barbanera, almanacco piacentino del tempo o, più recentemente, il calendario di Frate Indovino sono la Bibbia di questo rapporto astri / tempo / lavoro. Non stercorare se non con l’estremo della luna… Seminerai che la luna ti vegga… già suggeriva L. B. Alberti nel XVI secolo (Villa, trattato sulle ville di campagna). L’anno del contadino iniziava il 25 marzo, l’Annunciazione, con le speranze legate al ciclo primaverile; si chiudeva l’11 novembre per San Martino al momento del trasloco dell’affittuario o del mezzadro, data di scadenza dei contratti prima della pausa invernale, tempo della cura, della preparazione e della sistemazione degli attrezzi. Al ciclo annuale per il contadino della Bassa, si integra il ciclo quotidiano con la cura della stalla, la mungitura due volte al giorno e le consegne del latte al caseificio. Un ciclo temporale che appartiene anche alla donna. A lei è affidato l’orto che ha i suoi ritmi stagionali, il pollaio, la cura del maiale che vive dei resti della mensa domestica: è la rezdora con un ruolo e un potere preciso nella famiglia contadina. Il lavoro contadino insieme al tempo governa anche lo spazio. Lo spazio naturale del campo e lo spazio costruito: la stalla, il fienile, la cantina, il solaio, l’aia e il letamaio, lo stallino, il pollaio. Tutti spazi con precise funzioni, nei quali si svolgono lavori che seguono il ciclo annuale e il ciclo quotidiano del lavoro. Ogni tempo ed ogni spazio ha i suoi attrezzi che legano l’uomo dei campi al lavoro, taluni rimasti intatti da tempi immemorabili, altri modificati per usi specifici. Le tavole che compaiono dal 1700 nei primi trattati di agronomia testimoniano della varietà di soluzioni per ciascuno degli attrezzi fondamentali a partire dall’aratro. Ad esempio nel manoscritto conservato all’Archivio di Stato di Parma “Insegnamento di agricoltura parmigiana del XVIII secolo” i disegni delle varianti dello strumento per potare vanno dal marazzo alla ronca, alla podaglia, al podaiolo, al podino… Attrezzi che ancora oggi giacciono, magari dimenticati, in angoli nascosti della casa rurale. La vanga, a punta o quadrata, la zappa, lo zappino, il badile… sono scrupolosamente catalogati tra le proprietà dei monasteri e soggetti a tasse nel 1289 e ancora oggi seguono il contadino nel campo e in casa.

 

Mezzano Rondani – Ph Gigi Montali