Di Pupius abbiamo solo un ritratto nella pietra. Era un artigiano romano e faceva il tintore di stoffe. Attorno a lui il paesaggio era quello delle ultime propaggini della centuriazione romana e della strada che si spingeva sino a Colorno con una sorta di cuneo dalla Via Emilia di Parma. Una strada che portava a nord e che s’infilava in boscaglie e paludi che dal Po avanzavano così da farne un fiume che allargava il suo letto nelle esondazioni sino a 40 Km. Il monaco armeno Simeone racconta nel 983 che s’imbarcò su una nave a caput Lurni diretto, lungo il Po, al monastero di San Benedetto in Polirone nel Mantovano. Un territorio dunque di boschi e acquitrini che l’uomo del Medioevo iniziò ben presto a colonizzare. Monaci, servi, uomini liberi costruirono le prime curtes, i casalia e la grangia detta La Corte a Sanguigna, iniziarono a bonificare e a strappare lembi di terra all’acquitrino o al fiume invadente. Iniziarono allora le operazioni di sedimentazione/colmata o di prosciugamento con l’apertura di canali di deflusso per sfruttare gli spazi che restavano per più tempo asciutti. Le difese erano soprattutto verso il Po; l’argine della “Brè”, la “Fossetta dell’Abate” sono nomi che parlano pur tra gli insuccessi, come per il piccolo centro di “Cella del Po” che venne eroso e scomparve. Queste scelte di intervento sul territorio per “abitarlo” furono costanti nei secoli ed un ingegnere idraulico ante litteram, Smeraldo Smeraldi, chiamato dai Signori Sanseverino di Colorno nel 1598 propose il prosciugamento dei terreni verso Copermio e Mezzano con scoli di acque, cavi, argini e chiaviche. Avviò progetti ancor più ambiziosi per “raddrizzare” gli alvei fluenti del Po che furono in parte minima realizzati nel 1600. Si delineava così la rete infrastrutturale dei canali e poi di strade che lo sguardo dall’alto di oggi ci offre. I possedimenti maggiori erano dei feudatari e Signori di Colorno e di qualche nobile famiglia; seguivano i possedimenti ecclesiastici e piccole terre di uomini liberi. I campi erano delimitati da siepi, scoli e si alternavano a vaste zone di boschi ripariali che nel Po si spandevano in golene e isolotti. Il pericolo delle esondazioni è una costante di queste terre. Le Cronache sono ricchissime di episodi relativi a queste calamità naturaIi: Il Po rupe l’argine al Mezano… e vie’ sina apogiato alle case fora di Colorno riferisce Don Costantino Canivetti nel 1600. Nel 1705 il Commissario Saccardi quando il Po aveva rotto gli argini di Torricella e Coltaro riferisce al Duca: Quando si è trattato di provvedere di pane per tutti gli assediati dell’acqua, se Dio non ci faceva misericordia, se seguitava altre 24 ore l’incremento dell’acqua, o pochi, o niuni si salvavano dal restar sommersi, che è quanto devo con le lagrime su l’occhi presentar all’Altezza Vostra Serenissima. Così le grandi piene del 1951, del 2000, ed altre gravi se pur meno “cattive”, sono parte integrante della memoria collettiva e del sentire diffuso tra la gente di oggi.