Attorno al XVII secolo nasce il modello della casa rurale a porta morta che si stabilizza sino alla seconda metà del 1900, strutturando il paesaggio della Bassa come ancora lo vediamo oggi per frammenti. La precarietà e la deperibilità della dimora contadina non hanno lasciato praticamente traccia se non nelle rare antiche curtes. Qui non c’erano i sassi della montagna e il mattone è materiale costoso. La precarietà dell’abitare si tocca con mano nella zona rivierasca, dove le abitazioni in golena coltivata, fanno continuamente i conti con le esondazioni, tanto che si racconta di un agricoltore che aveva la stalla a due piani, pronto a trasferire le mucche al primo piano in caso di piena. Immediatamente dietro l’argine, le case sono prevalentemente in linea per corpi giustapposti, perché per questa fascia limitata di popolazione il lavoro dei campi si integra con il lavoro sul fiume di pescatori o “scariolanti”, i lavoratori delle bonifiche. In queste aree, dove il confine tra la terra e l’acqua è incerto c’è comunque a Sanguigna, in destra Po, un luogo definito la Corte per antonomasia. Si tratta di una “grangia” – dal francese granaio – di cui si ha memoria dal 1144 quando un documento papale cita la chiesa di San Salvatore, tuttora esistente, “cum castro e curte”. Una sorta di grande azienda agricola – oggi agriturismo – fortificata dipendente dal Monastero benedettino di San Giovanni Evangelista di Parma dove non abitano monaci ma si amministrano “multas possessiones”. Questa forma di presenza nel paesaggio rurale che risale al Medioevo è all’origine delle sistemazioni successive dei terreni e della ristrutturazione della proprietà dal potere ecclesiastico a quello signorile. Le Corti agricole che si strutturano dal XVII secolo erano al centro di poderi dalla superfici di terra consistenti e si svilupparono con due modalità costruttive fondamentali: la Corte chiusa, sul modello delle Corti Lombarde – cascine – e la Corte aperta con il graduale sviluppo di edifici più semplici che si raccolgono attorno a un cortile centrale e che sviluppano le tipologie dell’unità singola. Qui abita il proprietario – il padrone – ed è facile identificare la sua casa ad uso esclusivamente residenziale, insieme a quelle dei lavoratori agricoli, braccianti o salariati, in abitazioni a schiera; ma la parte preponderante è costituita da una pluralità di edifici funzionali alla conduzione del podere: stalle, porcilaie, barchesse, fienili, granai, ricoveri per gli attrezzi e in qualche caso, anche il caseificio. Al centro c’è l’aia, luogo cardine della vita sociale e di lavoro. Lì si gioca, lì si stende il granturco ad essiccare, lì si colloca la grande trebbiatrice al momento del “bàtor”, la trebbiatura del grano con l’avvento della prima meccanizzazione agricola dagli inizi del XX secolo. Altro elemento costruttivo particolarmente curato è la stalla che in alcune Corti assume un volto “ basilicale” con un doppio porticato lungo i lati maggiori ed elementi decorativi come gelosie e rosoni. Tra la fine del 1700 e per tutto il 1800 si vede lo sviluppo della Corte agricola, poi un lento e graduale abbandono verso utilizzi ancora difficili da individuare. A Colorno vivere a Corte ha un significato ambivalente. Vivono a Corte l’artigiano, l’operaio, il giardiniere, il guardiacaccia, etc… impegnati a servizio dei Duchi nel grande Palazzo e negli edifici annessi. Ma vive in Corte anche il lavoratore della terra, il mezzadro, e la Corte è una comunità sociale che si confronta con il piccolo proprietario, l’affittuario del podere, a misura di necessità famigliare la cui dimora plasma il paesaggio rurale essendone parte essenziale.